venerdì 10 febbraio 2012

Fabio Volo "E' una vita che ti aspetto"

"Se vuoi essere felice, se vuoi essere libero, impara ad amare. Ad amare, e a lasciarti amare. La tua vita adesso è priva d'amore. Non ami il tuo lavoro, non ami una donna, non ami te stesso. Di conseguenza, non ami il mondo."


"...Vivevo nella paura. E vivere nella paura è sempre stata la condizione di chi è sottomesso. Paura del domani. Paura di non essere pronto. Di non essere all'altezza. Forse uno degli errori più grandi che facevo era quello di prepararmi al peggio. Era la paura di non essere in grado di reggere una situazione brutta, la paura di perdere il controllo, o di trovarmi spiazzato e soffrire troppo, che mi portava ad allenarmi costantemente al pensiero di una catastrofe in arrivo. Per quello mi concentravo su cose brutte che potevano succedere. Qualche disgrazia, qualche tragedia. Io alla fine non dovevo trovarmi impreparato. Costruivo delle barriere, delle difese, dei cuscinetti per attutire l'eventuale botta, l'eventuale scontro con la realtà. Ecco perché alla domanda: "Sei felice?" rispondevo: "Non lo so, ma non mi lamento." Perché, visto che mi aspettavo sempre la catastrofe, il fatto che non fosse ancora successa doveva rendermi felice. Quindi per me il significato della parola felicità era: mancanza di dolore. "Non mi lamento" lo dicevo anche un pò per scaramanzia. Quasi per arruffianarmi quell'entità che decideva. Dio, il destino, la sfortuna ecc. Come gli ebrei attendono il Messia, io aspettavo la tragedia. E mentre mi concentravo sul male, probabilmente il bene, il meglio, il bello mi passavano a fianco e io non me ne accorgevo. Ero troppo concentrato sul peggio, sul male, sul brutto. E anche se la vita mi regalava una cosa bella, io non la sapevo gestire, non ero pronto e mi faceva paura. Non ero capace di stare bene fino in fondo. Non ero in grado di gioire. Quando succedeva qualcosa di bello, la mia gioia, i miei festeggiamenti erano sempre sotto tono. Perché ho sempre avuto paura che come avessi alzato le braccia in segno di vittoria, minimo un fulmine mi avrebbe colpito. Che come avessi in qualche modo gioito o esternato la mia felicità, subito sarei stato punito."


"Forse la libertà poi non è nemmeno poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi."


"Quando ero piccolo e andavo al mare, mi ricordo che mia nonna mi portava sempre alle giostre. Mi piaceva un casino." (...) "I ricordi sulla giostra sono una metafora perfetta della nostra vita in quel periodo. Eravamo anche noi su una giostra. Quella che quando parte fai fatica a scendere. Ma lì non ci sono carrozze vere, macchine vere, astronavi vere. Vivevamo con l'unica ambizione di riuscire a strappare qualche codino per avere il nostro momento di gloria e un ennesimo giro sulla giostra. Quella giostra, però, non è vita, ma ne mette in scena la parodia. La "parodia della vita". Mentre la vita, la vita vera era giù. Più vicino di quanto potessi pensare. A un passo. Ma quel passo spettava a noi. Bisogna avere coraggio. Il coraggio di scendere. Il coraggio di fermare quell'esistenza. Il coraggio di essere liberi. Ma scendere dalla giostra voleva dire fermarsi. E io, ad esempio, non ne ero capace. Dovevo sempre essere in movimento, sempre impegnato, sempre pieno di cose. Era una vita che scappavo, che correvo, che fuggivo dalle mie paure, da una continua malinconia, da una specie di depressione. Dal silenzio. Dalla solitudine. Avevo sempre bisogno di fare qualcosa. Avevo sempre bisogno di essere coinvolto in un progetto, occupato, impegnato, per stare lontano da me. In qualsiasi momento." (...) "Comunque, il problema era che bisognava in qualche modo saltare giù da quella giostra, e il primo passo da fare era proprio non muoversi. Fermarsi. Nessuno però voleva scendere finché tutti gli altri rimanevano. Infatti restavamo stupidamente aggrappati all'ombra di noi stessi perché non potevamo sapere che, staccandoci dall'esistenza e cadendo nella vita, non ci saremmo più sentiti soli."


"Per me cambiamento voleva dire dolore, quindi ho sempre fatto molta fatica a cambiare. Aspettavo sempre più che potevo. Così, nella vita ho sviluppato più che altro la capacità di sopportare."


"Non mi è mai piaciuto tanto cambiare. Credo sempre per via di quel trasloco. 'Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova' dice il saggio. E anche un pò io. Infatti avevo lo stesso atteggiamento anche con i miei difetti. Li chiamavo così ma non facevo niente per perderli, per cambiare. Ecco nuovamente il problema dello staccarsi. Io mi riconoscevo nei miei difetti. Erano comunque come pezzi di un puzzle che componevano la mia persona. Mi ci ero pure affezionato. Anzi, a dirla tutta, mi ci ero proprio innamorato. Forse anche perché i difetti erano spesso le mie difese. 'Io sono fatto così, non ci posso fare niente'. Quante volte le ho dette quelle parole. Tradotte erano: 'Se ti vado bene cosi, ok. Altrimenti arrivederci'."


"Dall'incontro con me stesso per la prima volta avevo capito da dove venivano tutte le domande che mi assalivano la notte, le ansie, le paure. Io, l'io vero era come chiuso dentro un sarcofago. Ecco perché mi veniva da soffocare. Ecco perché avrei voluto strapparmi la pelle di dosso. Perché ero legato, bloccato, ingabbiato dentro di me. (...) Quella voce dentro di me, che ero io, voleva essere ascoltata e voleva che i suoi desideri e bisogni fossero soddisfatti. Voleva essere amata. Amata da me. Voleva semplicemente vivere. Non stavo vivendo veramente la mia vita. Che era poi il motivo per cui ero nato, per cui c'ero anch'io su questo pianeta. L'idea errata che avevo di me, invece, mi spingeva automaticamente a rispondere a desideri e a necessità che in realtà non erano miei. (...) Inseguivo quello che credevo di volere e non quello di cui avevo veramente bisogno. Così, mi sono trovato sommerso da una stratificazione di falsità. Di dati errati. Ma con quella dichiarazione d'amore avevo imparato che non potevo più fare a meno di me stesso se volevo veramente incontrare gli altri. Incontrare la vita. Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbaliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri."

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